JOHANNESBURG
Era il 1994 quando il Sudafrica ha conosciuto per la prima volta la sua
Democrazia con l’elezione di Nelson Mandela. Dopo vent’anni dalle elezioni multirazziali, il popolo è
stato chiamato nuovamente ai seggi, in palio i quattrocento posti al Parlamento
nazionale, cui spetterà eleggere in seguito il nuovo capo dello Stato con
mandato quinquennale. Ma quelle del 7 maggio non sono state semplici elezioni cariche di fervore politico
e sociale, ma sono state elezioni in cui, inevitabilmente, si è avvertito il
vuoto lasciato dalla scomparsa di Madiba.
Vincitore delle elezioni si è nuovamente riconfermato l’African National
Congress (Anc) di Zuma, il partito al potere in Sudafrica dalla fine dell’apartheid.
Tuttavia questa riconferma ha destato stupore, soprattutto nei media
internazionali che hanno messo in sordina il risultato elettorale. Ci si
aspettava infatti un risultato sotto il 60% che avrebbe segnato l’inizio del
declino per l’Anc ed una consegnuente ascesa per l’opposizione, la Democratic
Alliance (Da) guidata dall’ex attivista anti-apartheid Hellen Zille, e questo a
seguito degli scandali finanziari di diversi esponenti dell’Anc, tra cui quelli dello stesso Zuma.
Aspettative però
deluse, in quanto gli elettori sudafricani avrebbero votato guardando indietro,
premiando cioè il vecchio movimento di liberazione per i suoi meriti nella
battaglia contro l’apartheid; tesi tuttavia difficile da sostenere soprattutto
se si tiene conto che il 24% degli elettori ed il 26% di quelli dell’Anc ha
meno di 24 anni.
A rimanere solida è la base dell’egemonia elettorale del partito di
Mandela, una coalizione sociale, nata nel 1994 che unisce lavoratori urbani
sindacalizzati, la nuova classe media nera nata dalle politiche di Black
Economic Empowerment e le masse africane delle aree rurali più povere.
Inutilmente l’ultimo presidente bianco De Klerk all’inizio degli anni novanta
aveva tentato di unire la minoranza bianca, meticcia e indiana in un’unica
coalizione di opposizione capace di controbilanciare i consensi dell’Anc nella
maggioranza nera. Il cambio di governo non è quindi al momento attuabile e sarà così fino
a quando l’opposizione non riuscirà ad identificarsi con le diverse componenti
scindibili del blocco sociale dell’Anc.
Probabilmente, a vent’anni di distanza dalla fine
dei negoziati multipartitici per lo smantellamento dell’apartheid potrebbe
essere tornato il momento di guardare a governi di coalizione con larghe intese,
adatte a società multietniche come appunto quella sudafricana. Al
momento però ciò che risulta è che l’era dell’Anc e del suo leader Zuma non è
ancora giunta al termine.
GIULIA GRILLI
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