Sin da tempi primitivi il modo di comunicare è stato gestuale e verbale: tuttora capita di non riuscire ad esprimere un concetto se non con uno sguardo o un gesto, spesso più eloquenti di mille parole. Ma siamo sicuri che sia sempre necessario? Con il proliferare delle tecnologie a nostra disposizione capita molto spesso di spiegarsi (o meglio, di non spiegarsi) attraverso link, immagini o semplici messaggi vocali, nonostante il destinatario si trovi spesso a pochi metri di distanza da noi.
Pare che l’uomo primitivo sentisse la necessità di esprimersi a gesti o attraverso rappresentazioni, quasi per supportare iconicamente ciò che stesse cercando di trasmettere: ebbene non troviamo davvero analogie tra il comportamento di questi uomini preistorici e i moderni uomini di NeAndroidthal?
Consideriamo per un attimo l’etimologia del termine “comunicazione” secondo l’Enciclopedia Treccani: in senso più proprio si tratta del “rendere partecipe qualcuno di un contenuto mentale o spirituale, di uno stato d’animo, in un rapporto spesso privilegiato e interattivo”. Interattività, partecipazione, condivisione: in media l’interpretazione dei suddetti termini risulta totalmente imperniata sulle dinamiche da social: per “condivisione” si intende essenzialmente quella di un contenuto, come se stessimo diffondendo un video tramite Facebook; alla richiesta di “ottenere spiegazioni” si risponde in genere inviando un freddo link da cui desumere le informazioni necessarie, alla domanda “cosa è successo” si supplisce con filmati o immagini esplicative del fatto in questione.
Tutto ciò significa progresso, possibilità di vivere situazioni che ad un soggetto non ubiquo sarebbero interdette, ma siamo veramente sicuri di voler sacrificare il rapporto umano rinunciando ad una proprietà fondamentale strettamente umana quale l’onnipotenza linguistica allo scopo di passare la giornata ad urlare in un dispositivo per spirito di telecronaca dovuta? Il discorso è altamente suscettibile di interpretazioni ed accuse: si va dal moralismo al giustificazionismo, dalla fiera opposizione all’atavica resistenza ai moderni mezzi.
Certamente è possibile osservare e trarre le proprie considerazioni (non conclusioni) su delle dinamiche così quotidiane che riguardano tutti da vicino, nessuno escluso. Perché è vero che ci si può opporre ideologicamente, ma il progresso in quanto tale è un processo irreversibile. Resta solo da discriminare il progresso tecnologico da quello etico, anche solo per scongiurare inutili diatribe.
ELISABETTA APPETECCHI
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