Egocentrismo mon amour - Arte, scusaci le spalle




Nell'era di Twitter, Facebook e Instagram l'imperativo che sembra preentarsi agli utenti virtuali è “Essere protagonista”, ovvero l'esserci ovunque, con chiunque ed in qualsiasi momento. L'equipaggiamento è minimo, basta essere forniti di uno smartphone - chi non lo è oggi? - , di un profilo Instagram, Twitter, Facebook (meglio se tutti e tre) ed un accesso illimitato alla rete tale da consentire la divulgazione immediata della foto o comunque della nostra “testimonianza”. E con un click eccoci, siamo al centro del mondo, come anche altri 25 milioni di persone. Nello stesso momento, magari anche nello stesso luogo; ma non importa, ciò che conta è che ci siamo stati anche noi.


Questo “essere protagonista” oggi si può facilmente tradurre con “selfie”, quella che anche lo Zingarelli 2015 ha provveduto a menzionare tra le parole dell'anno; neologismo (per i più non così neo) che ha contribuito a sua volta a far nascere una nuova espressione per definire la generazione dei social addicted, ovvero “Generazione me”. E il selfie come abbiamo detto, è il principio costituente. Tutti sappiamo cos'è e tutti ne siamo stati autori (e allo stesso tempo oggetti) almeno una volta. "Chi è senza peccato scagli il primo smartphone."
Perché farsi un primo piano con alle spalle il David di Michelangelo, il Big Ben, le cascate del Niagara e l'enigmatica Monna Lisa è diventato un rituale di viaggio così importante? Se avete avuto la fortuna, negli ultimi anni, di farvi una bella promenade nel Museo del Louvre, andando a far visita da buoni italiani all'opera di Leonardo da Vinci, vi sarete trovati sicuramente davanti ad una platea di compulsivi selfie addicted, tutti di spalle alla paziente Gioconda a scattare quanti più autoritratti possibili da poter testimoniare che sì, c'ero anche io con lei. E sia chiaro che ad oggi non vale più lo stereotipo del turista cinese sempre lì pronto a immortalare qualsiasi cosa, anche fosse la crepa di un muro; oggi siamo tutti fasidiosamente “pronti allo scatto”, senza distinzione di razza.



Può esservi capitata la stessa cosa in qualsiasi altro museo, in qualsiasi altra mostra, sotto un qualsiasi altro tempio della storia antica moderna o contemporanea. Gli ingredienti per un selfie perfetto da centinaia di “like” sono principalmente tre: noi con la nostra inconsapevole quanto stupefatta espressione, un'opera monumentale - o comunque sia di importanza a livello mondiale - alle spalle ed una fotocamera. La cosa che preme più di tutto è sapere di avere quella foto che può provare ai vostri amici ma soprattutto ai vostri millemila followers che voi lì c'eravate. Di spalle però, quindi di fatto l'opera non l'avete vista con i vostri occhi, ma tramite lo schermo del vostro telefono o della vostra supermegaaccessoriata reflex. Vi siete visti, voi e la Gioconda, che belli. Lei però è venuta sicuramente meglio, voi eravate un po' mossi. Rifacciamola e poi via sotto la torre Eiffel!

Non dimentichiamo come questa tendenza abbia assunto connotati a volte anche macabri. Si pensi ad esempio alla pratica ormai diffusa di immortalarsi sugli scenari dei delitti o delle stragi rese celebri dai media, come accadde all'isola del Giglio già qualche settimana dopo il tragico naufragio della nave Concordia; o ancora si pensi al “selfie col morto” dove scattarsi una foto in compagnia di un cadavere è costato (giustamente) il posto di lavoro a infermieri e becchini.



Questo forse risulta essere uno dei peggiori rischi dell'autoscatto 2.0: al di là dell'allarme “narcisismo-sociale” al quale psicologi di tutto il mondo sembrano urlare, la cosa che fa preoccupare è anche la perdita di percezione del posto, della circostanza in cui ci si trova o ancora del capolavoro dell'arte che si ha davanti, svilendone l'importanza di ognuno. Per mettere la nostra persona, la nostra presenza e tutto il nostro ego (un po' malato) davanti all'obiettivo e all'attenzione del web, rafforzato nel bene o nel male dallo scenario che si ha alle spalle.

                                                           STEFANIA SEVERINI







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