"Tre cose vuole il campo: buon lavoratore, buon seme e buon tempo", ma anche uno Stato che protegga ciò. Tutt'altro succede in Italia con l'approvazione in parlamento dell'Imposta municipale unica (IMU) su terreni agricoli, tassa già precedentemente messa sulla casa, sulle attività industriali e commerciali.
Senza giri di parole e giustificazioni qualunquiste passiamo ai fatti: si vuole il suicidio della nostra ricchezza. Quella ricchezza basata da millenni proprio sulla terra e nell'ultimo secolo anche sulla piccola impresa. Ma di anno in anno la nostra classe politica non ha fatto altro che ubbidire ai dettami della tecnocrazia europea sempre più cieca e intransigente sui "compiti che gli italiani devono fare a casa". In aggiunta al libero mercato che in Europa ha favorito solo le importazioni di prodotti africani e americani meno costosi.
Hanno ragione quegli agricoltori che definiscono questa nuova tassa uguale al racket della mafia. Alcuni economisti la paragonano per giunta al collettivismo della proprietà privata che Stalin applicò contro i kulaki negli anni '20 in URSS. Il regime stavolta non è comunista, anzi utilizza quei metodi per favorire paradossalmente le grandi manovre capitalistiche. Ecco quindi cosa è diventata l'Italia: uno Stato esattore che pretende tutto senza dare niente; uno Stato fallito, destinato all'implosione e all'anarchia; uno Stato inesistente perché diventato tubo digerente dell'austerity.
I risultati saranno l'abbandono e la svendita della terra che non converrà più possedere e coltivare. Grano, agrumi, olio e vino diventeranno beni di lusso e non più orgoglio nazionale.
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