La dittatura della lingua inglese: Italia, rialza la testa!



Basta con l’anglofonia! Il monito viene proprio dall’Accademia della Crusca; basta con gli scouting, i vision, i target. Basta. Il paese di Dante, di Gentile, di Machiavelli, Petrarca e Manzoni non ne ha bisogno. Se a Firenze è nata la lingua, è segno che la riscossa dovrebbe arrivare proprio da li, ma a il nostro (?) presidente del Consiglio, non pare essere molto d’accordo.  Già perché il premier è il primo a dare il cattivo esempio. Uno che chiama le leggi in inglese (“jobs act”), uno che riempie la sua comunicazione di neologismi anglofoni o pseudo tali. L’uomo che cita nei discorsi pubblici gli “smartphone” e i “tweet”. Che poi, a dirla tutta, fosse un tipo cosmopolita e a suo agio con l’inglese sarebbe anche comprensibile. Ma dato che così non è (i video dei suoi discorsi nella lingua di Sua Maestà Matteo I parlano da soli), questo suo modo di esprimersi desta una certa tristezza.


Tristezza perché questo modo di fare è l’emblema di un’Italia che non cambia verso per nulla. Che continua a stare agganciata al suo ruolo di piccola colonia balneare del grande impero americano e occidentale. Un’Italia che sogna New York dal cortile di un paesello in Valdarno. Un atteggiamento questo che va oltre la lingua. Le assurde sanzioni alla Russia, per fare un esempio, ne sono la riprova. Ma anche i brutti grattacieli di stile apolide che compaiono ormai ovunque: da Milano a Roma.

Il pluralismo differenzialistico e multiculturale promosso dalla globalizzazione rivela, sotto questo profilo, la sua autentica natura di mono-culturalismo del mercato: la quale annienta le differenze culturali e ne crea di fittizie, perché funzionali al mercato stesso. Prova ne è, oltretutto, il fatto che le lingue nazionali, in cui sono custodite le tradizioni e la cultura dei popoli, sono costantemente sottoposte a un movimento di distruzione e di sostituzione con la nuova lingua dell’impero imposta come destino linguistico dell’intera razza umana americanizzata come l’inglese operazionale dello spread e dell’austerity. 

È in questo orizzonte che si comprende in che senso la coazione all’adattamento all’inglese come sola lingua consentita si riveli perfettamente in sintonia con il programma di smantellamento, oggi egemonico, degli Stati nazionali e del feticismo economico del mercato internazionale e di omologazione del genere umano ridotto a esseri privi di una tradizione culturale che gli permette di resistere all’immensa potenza del male. In tutto ciò, naturalmente, il progetto criminale chiamato “Europa” l’eurocrazia, che ha come segreto scopo l’uniformazione della vecchia Europa al modello americano, svolge un ruolo di primissimo piano. In questo modo si spiega il perché della rinuncia alla lingua nazionale e all’adesione alla lingua inglese dei mercati finanziari, non quello di Shakespeare. Tutto questo non fa che sottolineare come l’unica lingua che il decadentismo occidentale riesce a far parlare è quella del Capitale. 

L’odierno uso criminale della lingua inglese, imposta come destino e come necessità sistemica del processo di globalizzazione, procede con lo smantellamento degli Stati nazionali, rimpiazzati dalla governance globale, ossia dal potere economico deterritorializzato delle multinazionali e dei banchieri. Chi non se ne accorge, è cieco o in cattiva fede. Chi asseconda tutto questo, nel duplice e sinergico movimento di abbandono della sovranità nazionale e della cultura italiana (quale si esprime nella nostra splendida lingua), è uno sprovveduto o peggio ancora, un criminale.

L’uso servile della lingua inglese raggiunge livelli di idiozia immane quando si impone la regola che le pubblicazioni in lingua inglese valgano più di quelle in lingua nazionale.

E' ora di farla finita con l'uso servile della lingua inglese! Ormai a scuola i ragazzi non sanno più l'italiano, il greco, il latino, la storia dell'arte: parlano di nulla, ma in inglese e su internet! Sono ridotti a vuoti fantocci anglofoni, senza spessore, senza identità, senza cultura critica. Riprendiamoci tutto, a partire dalla nostra lingua nazionale. Un popolo senza identità e cultura è un popolo senza passato e senza futuro.

“Il linguaggio è la casa dell'essere e nella sua dimora abita l'uomo."



                                                                           STEFANO MASTRILLO

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