Impennata per i voucher, i buoni usati per pagare prestazioni lavorative occasionali. Nei primi sei mesi del 2015, informa l’Inps, sono stati attivati oltre 49 milioni di tagliandi: un aumento del 74,7% rispetto all’anno precedente. E’ il successo di un modello importato dall’Europa, anche se con sostanziali differenze: negli altri Paesi, l’ambito di applicazione è rimasto circoscritto ai lavori domestici, da noi si è ampliato a tutti i settori produttivi. E il Jobs act ne ha rafforzato l’espansione, fino al punto di fare scattare l’allarme. Ma come funzionano? Il datore di lavoro innanzitutto, registra la posizione del lavoratore inserendo ANTICIPATAMENTE, il giorno e le ore per cui dovrà lavorare.
Ma quanto costano al datore di lavoro? Per una singola ora di lavoro, spende 10 euro, di cui 2,50 euro è il costo che comprende contributi, davvero minimi, per l’INPS e l’INAIL per la pensione e per l’assicurazione contro gli infortuni. Quindi un dipendente, che nel gergo prende il nome di prestatore, incassa 7,50 euro netti. Come già detto prima, i voucher sono stati pensati per programmare i cosiddetti lavori accessori come ad esempio babysitter, giardinaggio… i cosiddetti lavori occasionali molto spesso pagati in nero che dovevano emergere tramite il voucher, come previsto dal Jobs Act approvato nel 2015 dal governo Renzi, ma invece sono rimasti sommersi.
Il Jobs Act ha semplificato l’uso dei voucher lavoro; nel 2015, se ne sono venduti 114.921.574 dal valore nominale di 10 euro per oltre un miliardo di euro di compensi erogati. Un boom del 66,6% rispetto ai 69.172.879 dell’anno precedente. I prestatori, cioè coloro che possono svolgere lavoro accessorio sono i pensionati, gli studenti con l’età minima di 16 anni nei periodi di vacanza, studenti universitari, lavoratori part-time, cassintegrati, i titolari di indennità di disoccupazione Aspi, Mini-Aspi e gli extracomunitari con permesso di soggiorno che consenta l’attività lavorativa o con permesso per studio o di “attesa occupazione”.
I voucher sono stati introdotti in Italia nel 2008, sulla scia dell’esperienza di altri Paesi europei. In Austria si chiamano Dienstleistungscheck, in Belgio titres services, in Francia Chèque emploi service universel (Cesu); come già detto prima, in Italia i voucher dovrebbero servire per far emergere il lavoro in nero. Tuttavia negli altri Paesi europei i voucher sono rimasti relegati nell’ambito dei lavori domestici, dell’assistenza ai bambini, del giardinaggio. In Italia, invece, la legge Fornero ha allargato il campo di applicazione a qualsiasi tipo di attività e committente. E se il voucher nasce per fare emergere dal nero i lavori nei campi e in casa, negli anni la tendenza è decisamente cambiata, come riporta lo studio Cna.
A farla da padrone, con il 18,2 per cento dei buoni acquistati, è il settore del commercio, seguito dai servizi (14%) e dal turismo (12,3%). I lavori domestici si fermano al 2,6%, le attività agricole al 7,3%, giardinaggio e pulizie al 7,6%. Un’altra differenza rispetto agli altri modelli europei riguarda il livello di precarietà del lavoro. In questo senso, l’esempio più virtuoso è quello del Belgio. Qui, il lavoratore deve necessariamente essere dipendente di una società di servizi autorizzata: la legge prevede che, nel giro di un periodo da tre a sei mesi, il suo contratto passi a tempo indeterminato. In Italia, invece, la direzione sembra quella opposta. A maggio, il presidente dell’Inps Tito Boeri avvertiva: “I voucher rischiano di diventare la nuova frontiera del precariato”. E argomentava: “Non sono tanto come i mini jobs tedeschi, cioè secondi lavori. Rischiano di essere l’unica forma di lavoro per molti".
Vis Sapientia ha incontrato una signora, che chiameremo N.P. per motivi di privacy che come lavoro vende merce all’estero e che ci ha rilasciato un’intervista: “Dato che non riuscivo a trovare lavoro poiché non sono più giovanissima, ho accettato un lavoro di 1000 euro al mese. Per 13 mesi sono andata al lavoro, ogni giorno con il mio orario d’ufficio e inoltre svolgo una parte delle mie mansioni a casa, mediante il telelavoro. Venivo pagata in parte con i voucher, ossia il 30% del mio stipendio, mentre la parte rimanente in nero. L'unica scelta che avevo era questa, oppure restare disoccupata”. Ma cosa ci guadagna il datore di lavoro a pagarle lo stipendio in nero? Perché qualora ci fosse un controllo fiscale, la signora N.P. risulterebbe in regola, anche se dichiarata come una lavoratrice occasionale che esercita la professione per due ore al giorno.
Poi se ne faccia 8/9 è tutto da dimostrare. “Bisogna smetterla di uccidere in questo modo la dignità dei lavoratori” prosegue la signora “non oso immaginare come potrebbero trattare e sfruttare un giovane, poi non ci dobbiamo meravigliare se decide di andare all’estero”. Tutto ciò non fa altro che aumentare il precariato, ma cosa più importante, uccide la dignità del lavoratore, facendo sì che la sua pensione diventi un’utopia, dal momento in cui nessuno gli versa i contributi oppure gli vengano versati in maniera irrisoria mediante voucher. Nel giorno in cui un ex ministro ci viene a dire che “fatica a immaginare un trentenne che pensa già alla pensione” l’interrogativo da porsi è uno: quanto conta il lavoro compiuto dal lavoratore stesso, fatto di sacrificio e fatica? Se queste sono le oscenità alle quali dobbiamo assistere… a voi le dovute conclusioni.
VIS SAPIENTIA
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