Il primo articolo oggetto della riforma
costituzionale è il 55, ovvero la norma che apre la parte seconda della Costituzione,
che in versione originaria, molto semplicemente, prevedeva:
“Il
Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli
casi stabiliti dalla Costituzione”.
Il testo riformato, decisamente più lungo,
invece recita (in grassetto le aggiunte):
“Il
Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
Le leggi che stabiliscono le modalità di
elezione delle Camere promuovono l’equilibrio tra donne e uomini nella
rappresentanza. Ciascun membro della Camera dei deputati rappresenta la
Nazione.
La Camera dei deputati e’ titolare del
rapporto di fiducia con il Governo ed esercita la funzione di indirizzo
politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del
Governo.
Il Senato della Repubblica rappresenta le
istituzioni territoriali ed esercita funzioni di raccordo tra lo Stato e gli
altri enti costitutivi della Repubblica. Concorre all’esercizio della funzione
legislativa nei casi e secondo le modalità stabiliti dalla Costituzione, nonché
all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti
costitutivi della Repubblica e l’Unione europea. Partecipa alle decisioni
dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche
dell’Unione europea. Valuta le politiche pubbliche e l’attività delle pubbliche
amministrazioni e verifica l’impatto delle politiche dell’Unione europea sui
territori. Concorre ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo
nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello
Stato.
Il
Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli
casi stabiliti dalla Costituzione”.
Le novità della norma sono evidenti da
subito e salta all’occhio, al di là di un’esposizione zoppicante e poco adatta
ad una Costituzione, il ripetuto riferimento all’Unione europea. Emerge
inoltre che il bicameralismo non è stato superato, ma diventa
semplicemente imperfetto, come poi infra confusamente regolato nel nuovo art.
70 Cost. di cui si dirà in un altro articolo.
I Senatori della Repubblica cessano di
rappresentare la Nazione e assumono il
ruolo formale di rappresentare gli enti territoriali. Dato letterale assai
curioso visto che, anche i rappresentanti degli enti territoriali, di solito,
dovrebbero comunque rappresentare gli interessi nazionali e non certo altri
organismi.
Ma questo non è che un segnale preciso di
dove si voglia realmente andare a parare, gli enti territoriali da oggi avranno
ben altri interessi da tutelare. Il
nuovo Senato rappresenterà a tutti gli effetti un altro ordinamento giuridico, che non è l’Italia. Esso rappresenterà più propriamente l’Unione europea e gli interessi
finanziari che essa tutela ai quali anche le Regioni dovranno inchinarsi in
ogni materia.
In sostanza il nuovo art 55 è diretto,
in combinato con il parimenti riformato art. 117, ad aggirare gli artt. 1, 10
ed 11 Cost., norme immutabili perché non suscettibili di revisione
Costituzionale, ad attribuire la nostra sovranità legislativa in via
definitiva all’UE, senza più il fastidioso concetto dei cd. “controlimiti”
all'ingresso del diritto internazionale nel nostro ordinamento.
In sostanza prima della riforma
Costituzionale, il diritto UE, come ogni altra norma di diritto internazionale
generalmente riconosciuta, entrava automaticamente nel nostro ordinamento,
tuttavia era fatto salvo il successivo vaglio di legittimità di tali norme
rispetto ai principi fondamentali (art. 1-12 Cost.) e ai diritti inalienabili
dell'uomo, diritti enunciati nella parte prima della Carta. Tale indirizzo era
stato di recente confermato anche dalla sentenza n. 238/14 della
Corte Costituzionale.
Inoltre, a seguito della modifica
dell'art. 55, e ancor più chiaramente con il riformato 117, dovendo tutta la
normativa interna essere rispettosa delle norme UE, l'uscita dall'UE e
dall'euro potrebbe diventare possibile solo previa rimozione di tale nuovo
vincolo dalla Costituzione, e ciò richiederebbe una nuova riforma
costituzionale e, in caso di mancato raggiungimento delle maggioranze dell'art.
138 Cost., un successivo referendum.
La riforma trasferisce il vincolo esterno
UE, direttamente all'interno del nostro ordinamento, esattamente come già fatto
nel 2012 con la legge costituzionale che introdusse il pareggio in bilancio nel
nostro sistema giuridico.
Complottismo? Assolutamente no.
La stessa relazione preparatoria al disegno
di legge costituzionale chiarisce come l'obiettivo della riforma fosse
semplicemente questo, testualmente “Lo spostamento del
baricentro decisionale connesso alla forte accelerazione del processo di
integrazione europea e, in particolare, l’esigenza di adeguare l’ordinamento
interno alla recente evoluzione della governance economica europea (da cui
sono discesi, tra l’altro, l’introduzione del Semestre europeo e la riforma del
Patto di stabilità e crescita) e alle relative stringenti regole di bilancio
(quali le nuove regole del debito e della spesa); le sfide derivanti
dall’internazionalizzazione delle economie e dal mutato contesto della
competizione globale; le spinte verso una compiuta attuazione della riforma
del Titolo V della Parte Seconda della Costituzione tesa a valorizzare la
dimensione delle Autonomie territoriali e, in particolare la loro
autonomia finanziaria (da cui è originato il c.d. federalismo fiscale), e l’esigenza
di coniugare quest’ultima con le rinnovate esigenze di governo unitario della
finanza pubblica connesse anche ad impegni internazionali: il complesso di
questi fattori ha dato luogo ad interventi di revisione costituzionale
rilevanti, ancorché circoscritti, che hanno da ultimo interessato gli articoli
81, 97, 117 e 119 della Carta, ma che non sono stati accompagnati da un
processo organico di riforma in grado di razionalizzare in modo compiuto il
complesso sistema di governo multilivello tra Unione europea, Stato e Autonomie
territoriali, entro il quale si dipanano oggi le politiche pubbliche”.
In claris non fit interpretatio.
Il Senato in futuro sarà solo l’organo di
“raccordo”, termine assai impreciso e vago per una Costituzione, tra Italia ed
Europa. Ma cosa si intenda esattamente con il termine raccordo è specificato
nel proseguo dell'art. 55, ove si legge in conformità agli obiettivi della
riforma, che: “Partecipa (omissis…) all’attuazione degli atti normativi e delle
politiche dell’Unione europea”.
Non è un caso, ma una precisa scelta
normativa, che il principale ruolo del Senato venga menzionato solo verso il
termine dell’articolo. Trattasi di una tecnica legislativa copiata dai trattati
europei, che inseriscono sempre con una certa cura le “pillole avvelenate” per
evitare di far scorgere subito al lettore le criticità maggiori del testo ed i
veri scopi per cui è confezionato.
In questo contesto di “distrazione” si
colloca anche l’inserimento, già al secondo comma, dell’equilibrio tra uomini e
donne nelle rappresentanze. Trattasi di un diritto macroscopicamente cosmetico
(un trucco atto a distrarre quindi), che serve appunto a gettare fumo negli
occhi ed a consentire, a chi non è esperto in diritto, di credere che questa
sia una riforma ben congegnata, pensata per l’uguaglianza tra i sessi.
In realtà l’equilibrio nelle rappresentanze tra uomo e donna è un atto di
discriminazione senza precedenti e crea un’evidente incompatibilità tra questa
nuova disposizione e gli artt. 3 e 49 Cost. Ogni cittadino ha infatti pari
diritto a concorrere alla vita pubblica del Paese a prescindere dal proprio
sesso. Non si può escludere un candidato perché ci sono già troppi
candidati di un sesso o dell'altro.
La candidatura elettorale è su base
volontaria e nessuno potrebbe parimenti vietare ad un gruppo di sole donne o di
soli uomini di riunirsi in partito, è un loro diritto fondamentale irrinunciabile
codificato nell’art. 49 Cost.
Le diseguaglianze tra sessi si combattono
sul piano delle opportunità, rimuovendo quegli ostacoli legati a fattori
prevalentemente biologici o socio-culturali che una donna può avere per
l'accesso alla politica, e non creando limiti prestabiliti di candidatura che
determinano, in definitiva, solo nuove ed insuperabili discriminazioni. Le pari
opportunità per una donna di fare politica rispetto ad un uomo sussistono solo
laddove si riconosce un concreto sostegno alla maternità, una pari dignità
sociale e culturale, non certo da un obbligo di parità numerico inserito in
barba ad ogni democrazia ed ogni meritocrazia.
Insomma il primo articolo riformato rende
subito chiaro un concetto, la riforma è contraria alla forma Repubblicana dello
Stato e costituisce un atto puramente eversivo.
AVVOCATO MARCO MORI
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