Si sa, le lingue mutano col tempo e soprattutto con il loro utilizzo nel parlato quotidiano. Da qualche tempo la povera lingua italiana, spesso oggetto di storpiature e strambi neologismi, è stata vittima di un nuovo dilagante fenomeno: l’uso di “piuttosto che” con valore disgiuntivo (o). I linguisti sostengono che questo uso improprio del “piuttosto che” abbia avuto origine già nei primi anni ’80 del secolo scorso, nell’area agiata del Settentrione ed abbia poi trovato terreno fertile nel linguaggio dei giornalisti, dei conduttori, delle televisioni, diventando così di uso comune.
Questa novità lessicale è da respingere fortemente per due ordini di motivi:
-E’ grammaticalmente scorretta ed in contrasto con l’etimologia del sintagma.
Come riportato dall’enciclopedia Treccani, “piuttosto che” si usa davanti ad avversative e comparative e significa “anziché”, indica cioè una preferenza accordata ad un elemento rispetto ad un altro. E’ un composto di più e tosto, cioè presto. Successivamente il senso di ‘più presto’ si è esteso a ‘più facilmente’, e ‘più volentieri’.
-E’ causa di ambiguità.
L’Accademia della Crusca, sostenitrice della battaglia per il corretto uso del “piuttosto che”, prova a spiegare con alcuni esempi come questo fenomeno metta in crisi la fondamentale funzione del linguaggio, cioè quella di permettere una chiara comunicazione tra gli esseri umani.
”Dall’incipit di un noto settimanale del 2011 «È stupefacente riscontrare quanti italiani trentenni e quarantenni popolino le grandi università americane, piuttosto che gli istituti di ricerca e le industrie ad avanzata tecnologia nella Silicon Valley»; naturalmente questo piuttosto che pretende di surrogare la semplice disgiuntiva, ma il lettore non edotto è portato a chiedersi come mai i giovani studiosi italiani sbarcati negli Stati Uniti snobbino per l'appunto i prestigiosi centri di ricerca della Silicon Valley. E ancora: «... di questo passo, saranno gli omosessuali piuttosto che i poveri piuttosto che i neri piuttosto che gli zingari ad essere perseguitati»: frase pronunciata nel corso del Tg3 del 22.1.2002; in questo caso, la prospettiva d'una persecuzione concentrata protervamente sulla prima categoria avrà reso perplesso più di un ascoltatore.”
Per dirlo più chiaramente “amo leggere libri piuttosto che vedere un film” NON vuol dire "amo leggere libri oppure (indifferentemente) vedere film", ma vuol dire "amo leggere libri PIU’ che vedere film". Ma se nel linguaggio quotidiano il vero significato della frase si può comprendere contestualizzandola, cosa accade quando questa novità linguistica viene impiegata in testi tecnico-scientifici in cui l’univocità e la chiarezza del lessico sono indispensabili?
Fortunatamente, oltre ai tanti seguaci di questa moda, ci sono molti sostenitori di vere e proprie “crociate” per il corretto uso del “piuttosto che”, provenienti non solo dagli esperti in materia, ma anche da tanti insofferenti utenti del Web che sono ben consapevoli che questo fenomeno, mascherato da uso aulico e snob del linguaggio, è soltanto sinonimo dell’ignoranza e del fallimento comunicativo.
MARZIA ROSSI ESPAGNET
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