Di fronte alle minacce globali del terrorismo e dell’immigrazione selvaggia, solo grazie alla sua rete di Ambasciate e Consolati, l’Italia può contare su esperti sul terreno che intrattengono contatti a tutti i livelli, intravedono in anticipo le grandi trasformazioni in corso, per suggerire alleanze, avvertire tempestivamente, anche intervenire sulle evoluzioni che possono minacciare la nostra sicurezza o danneggiare l’economia. E invece negli ultimi anni si è fatto di tutto per indebolire sistematicamente la Farnesina, ritagliando le sue competenze, riducendo gli strumenti di politica estera di cui disponeva. Dal 2008 a oggi, il Ministero degli Affari Esteri ha perso un quarto del suo bilancio, che era già di gran lunga inferiore a quello dei principali partner europei. Il nostro personale è diminuito di oltre il 21%.
In nome di non si sa bene quale riorganizzazione, ora ci hanno strappato anche la cooperazione, che era uno dei mezzi chiave per contrastare il terrorismo promuovendo lo sviluppo delle aree a rischio. E non siamo alla fine, perché si preannunciano tagli ancora più radicali. Il nostro personale inviato all’estero – quello per esempio che in questi giorni è rimasto fino all’ultimo in Libia e in Yemen per difendere gli interessi italiani – subirà decurtazioni del 20% su tutte le voci di spesa necessarie al servizio.
L’unico risultato di questo risparmio è che sarà più difficile lavorare in una situazione già insostenibile, e già arrivano le richieste di rientro anticipato dalla rete estera. Sul tema stipendi vi è stata una disinformazione totale, l’indennità percepita all’estero è stata presentata come una retribuzione, senza mai spiegare che a differenza dei nostri partner europei, i funzionari italiani devono sopperire di tasca propria a tutta una serie di spese – alloggio, spese scolastiche, viaggi ecc – che i Ministeri degli Esteri di altri paesi si accollano direttamente.
La verità è ben lontana dagli stereotipi e dalle banalità che purtroppo tuttora circolano in certi ambienti. Quello diplomatico è un lavoro difficile, con pesanti responsabilità di carattere giuridico, oltre che di gestione amministrativa. Sempre più spesso è anche rischioso, quindi per poter contare su funzionari disposti a lasciare l’Italia, occorre rassicurarli che le loro famiglie verranno sostenute anche nei Paesi più remoti e difficili del mondo, dove violenza e rapimenti sono rischi reali.
Ora c’è un calo delle domande di trasferimento dei diplomatici italiani all’estero, e quindi l’Italia rischia di essere sempre meno presente, sempre meno avvertita, sempre meno protetta. Non c’è sostituto per la diplomazia nazionale. E’ ora di smettere di credere alla favola di un’Europa in cui tutti aspirano a collaborare insieme. Basta vedere il percorso che ci ha portato all’ennesimo “Stato fallito”, a pochi chilometri dalle nostre coste meridionali.
Ormai lo capisce chiunque che in Europa la parola d’ordine è questa: competizione. Ogni paese agisce prima di tutto per la difesa dei propri interessi e della propria sicurezza. E per questo serve chi mette in pratica la politica estera, chi sa stare sulla palla, perché l’agenda globale degli impegni internazionali è diventata una matassa inestricabile: anche solo per organizzare un incontro al vertice si debbono superare più difficoltà oggi, rispetto a venti anni fa. Serve una rete di professionisti non solo attenti e preparati, ma anche dotati delle risorse necessarie, e quella si chiama diplomazia.
E’ venuto il momento di invertire la rotta, e di impedire a degli irresponsabili di continuare – solo al fine di raccogliere consensi, magari sull’onda dell’anti-politica – a fare a pezzi le componenti che oggi assicurano la sicurezza e la sovranità dello Stato: le forze dell’ordine, le forze armate, e il corpo diplomatico.
MARIO VATTANI PER LIBERO
RINGRAZIAMO IL DOTT. MARIO VATTANI PER AVER DATO IL CONSENSO ALLA PUBBLICAZIONE.
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