La cinematografia italiana del dopoguerra

Una passeggiata fra pellicole e realtà

(immagine tratta da Wikipedia.org)


Quante volte ci è capitato di prenderci qualche ora di relax passeggiando fra le meraviglie artistiche che Roma ci offre? Si può affermare che molti dei monumenti e/o delle piazze nelle quali ci siamo imbattuti, possono essere considerati dei rispettabili attori alla stregua delle star hollywoodiane più in voga. Infatti in molte pellicole antiche compaiono le numerose risorse artistiche della capitale italiana. Entriamo più nel dettaglio. 

È il 1945 e ci troviamo nel "Roma città aperta" di Rossellini; scorgiamo i fari puntati sugli studi di Cinecittá per assistere al triste "spettacolo" di orde di sfollati che in quel luogo trovavano rifugio nel dopoguerra. La situazione, girata presso gli interni del vecchio teatro Capitani in Via degli avignonesi 32, rappresenta quegli studi che ora per noi sono uno dei simboli della Roma periferica, e che allora furono protagonisti della disperazione e della miseria di molte persone.

Allo stesso modo, si ricordi la famosa scena della corsa e dell'uccisione che fu girata in Via Raimondo Montecuccoli presso il quartiere Prenestino labicano. Nei film di Rossellini, le ambientazioni fanno da sfondo all'inconscio dei personaggi, attraverso un'inquadratura che parte dal primo piano dell'attore fino ad allargarsi all'ambiente circostante, seguendo il moto dell'attore con dei piani-sequenza. I luoghi, così, diventano essi stessi protagonisti tramite i quali il pensiero dell'attore si fa storia. Steno invece con il "guardie e ladri" del 1951,trasforma i fori imperiali in un vero e proprio palcoscenico dove il grande comico Totó esprime tutto il contrasto tra la bellezza dei luoghi e la povertà nella quale si verteva nel dopoguerra , sognando l'America come terra agoniata. 

Totò, così, emblema della "maschera" a causa della sua fisionomia dovuta ad un cazzotto che ricevette, si fa portavoce del dislivello tra la bellezza di Roma e la povertà della stessa. Steno ci fa camminare ancora fra le rovine romane fino ad arrivare al Colosseo, al teatro Marcello poi e a via Margutta. Questi luoghi nel 1954 diventano lo sfondo di "Un Americano a Roma" nel quale il romano per eccellenza Alberto Sordi si muove, contrapponendo l'orgoglio di essere romano al mito del benessere americano.

Si sente la necessità di una rinascita e di una ripresa in seguito al dopoguerra che si sente in particolar modo nel cinema NEOREALISTICO di Monicelli nel suo " I soliti ignoti" del 1958. Attraverso una sottile comicità ed attori superbi fra cui Gassman e Manfredi, si rappresenta una classe disagiata che tenta il colpaccio senza buon esito passando per i quartieri più caratteristici, tra i quali il simbolo di Roma Portaportese. Attraverso la cinematografia possiamo renderci conto,inoltre dei numerosi cambiamenti nel corso degli anni: basti pensare alla celebre passeggiata attorno al Colosseo, allora ancora aperto e raggiungibile da ogni lato, in " Vacanze romane" di Wyler (1955).

Ma giungiamo al 1960, anno del celebre " La dolce vita" di Fellini. Tenendo per un attimo da parte Piazza del popolo e la pineta di Fregene dove venne girata la scena delle feste, ci torna alla mente la celeberrima scena del bagno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi dalla quale esorta Marcello Mastroianni a raggiungerla. Un'interessante contrapposizione fra il candore e l'eleganza della fontana ed il circostante paesaggio romano allora rurale. Una realtà rustica ripresa in una frontalità Gaddiana senza profondità, nella quale si muove l'immaturo Marcello emblema della poetica del fanciullino.

Un decadentismo cinematografico rappresentato attraverso la tipica inquadratura Felliniana dal basso verso l'alto; la cosiddetta "visuale del topo". Spostiamoci ora del centro storico alla periferia. Il Pigneto. Terminiamo con un luogo molto in voga che certamente tutti conosciamo: Il bar Necci.

L'osteria Necci, infatti, è uno dei luoghi più importanti che ritroviamo nel film di Pasolini "L'accattone" del 1961. Attraverso l'amore feticistico ed ossessivo per i dettagli, per mezzo di inquadrature distinte,egli rappresenta un'Italia rurale, una necessità di riscatto e di benessere che si manifesta in feste e nell'amore per una natura che diventa coprotagonista. Così Pasolini preferisce utilizzare quartieri come Villa Gordiani per mettere in scena la vera condizione sociale quotidiana della gente comune.

Un excursus tra varie pellicole che ci emoziona, facendo cadere la nostra attenzione su luoghi che, presi dall'abitudine, ignoriamo e dimentichiamo ma che dovremmo amare, tutelare e rispettare un pó di più. Allora furono motivo di orgoglio, oggi, se valorizzati al meglio, potrebbero essere una fonte turistica di grande guadagno e ripresa economica. Amiamo il luogo meraviglioso in cui viviamo per permetterci un futuro migliore.

                                                                                  GIOIA CAPRERA


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