In uno dei suoi più celebri romanzi, Il processo, Franz Kafka descrive una società indifferente a qualsiasi valore autentico dove l’uomo vive in una condizione di angoscia e alienazione in cui è solo e colpevole agli occhi del mondo. Il protagonista del romanzo Josef K., uomo onesto e diligente impiegato di banca, viene condotto in arresto per una colpa misteriosa e sconosciuta, senza mai avere la possibilità di essere informato sul motivo della sua accusato e senza mai aver la possibilità di difendersi.
In tutta l’opera vengono messi in risalto i paradossi di un sistema giudiziario crudele ed iniquo che ha come fine ultimo l’annientamento degli uomini. Mostrando tutte le storture dell’apparato giudiziario, Il processo, scritto nel 1925 non è poi così distante dalle problematiche della società contemporanea. Numerose sono le anomalie e gli ostacoli che impediscono alla giustizia di essere equamente impartita ed amministrata. Analizziamo nello specifico i problemi attuali che affliggendo il nostro sistema giudiziario intaccano la democrazia della nostra società, come ad esempio la persistenza della pena di morte.
Nonostante negli ultimi decenni molti Stati l'’abbiano abolita essa è ancora presente in vari paesi. Amnesty International ha rilevato come numerose esecuzioni vengano impartite in molte parti del mondo e in relazione ai dati in suo possesso distingue quattro categorie di Stati:
- in 40 Stati al mondo la pena di morte è ancora prevista dal codice penale ed utilizzata ,come ad esempio avviene in alcuni stati membri della federazione americana ,in Arabia saudita,in Cina e Bielorussia,
- Stati che mantengono la pena di morte anche per reati comuni ma di fatto non ne hanno fatto uso per almeno 10 anni, come ad esempio in vari paesi sud americani,
- in 7 Stati è in vigore ma solo limitatamente a reati commessi in situazioni eccezionali, ad esempio in tempo di guerra, come avviene in vari paesi dell’africa centrale,
- 101 Stati l'hanno abolita completamente, come ad esempio l’Italia ed in generale tutti paesi membri dell’UE.
La pena di morte si mostra in tutte le sue contraddizioni come un diritto alla vita. La Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati regionali e internazionali, che chiedono l'abolizione della pena di morte, riconoscono il diritto alla vita. Un riconoscimento sostenuto anche dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel 2007 e nel 2008, ha adottato una risoluzione che chiede, fra l'altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.
È una punizione crudele e disumana, infatti, non esiste alcuna giustificazione alla tortura o a trattamenti crudeli e disumani. Secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani: "Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti". Come la tortura, un'esecuzione costituisce una forma estrema di aggressione fisica e mentale nei confronti di un individuo. La sofferenza fisica causata dall'azione di uccidere un essere umano non può essere quantificata, né può esserlo la sofferenza mentale causata dalla previsione della morte che verrà per mano dello Stato. Sebbene le autorità dei paesi mantenitori continuino a cercare procedure sempre più efficaci per eseguire una condanna a morte, è chiaro che non potrà mai esistere un metodo umano per uccidere.
In oltre non è mai stato dimostrato il valore deterrente che avrebbe la pena di morte, nel distogliere altri soggetti dal commettere reati gravi, come l’omicidio, in quanto i paesi che l’adottano sono anche quelli con il più alto tasso di criminalità. Spesso gli omicidi sono commessi in momenti in cui l'emozione ha il sopravvento sulla ragione o sotto l'influenza di droghe o alcool. A volte la persona violenta soffre di gravi disturbi mentali o presenta comunque una certa instabilità psicologica. La chiave della deterrenza risiede nell'aumentare le probabilità che chi commette un reato sia arrestato e condannato. Nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni.
Si può correttamente asserire, in aggiunta, che la pena di morte è un sintomo di una cultura di violenza, non una soluzione a essa. Eseguendo una condanna a morte, lo stato commette un omicidio e dimostra la stessa prontezza del criminale nell'uso della violenza fisica. Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni: un incremento simile a quello causato da eventi pubblici violenti come le stragi.
Oltre questo va ricordato come la pena di morte sia stata spesso utilizzata in modo sproporzionato contro le persone più svantaggiate. Chi appartiene a una classe sociale povera non dispone mai dei mezzi economici necessari per affrontare un processo capitale. La pena di morte è spesso sinonimo di discriminazione razziale, religiosa ed etnica. È usata nei confronti di persone affette da disturbi mentali e minorenni all'epoca del reato. Nelle mani di regimi autoritari, la pena capitale è uno strumento di minaccia e repressione che riduce al silenzio gli oppositori politici.
Il rischio di mettere a morte una persona innocente resta legato in modo indissolubile alla pena di morte. Negli Usa, sono più di 130 le persone che sono state rilasciate dal braccio della morte a seguito di sviluppi che ne hanno dimostrato l'innocenza dopo la chiusura del processo. Una difesa legale inadeguata, le false testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che determinano la condanna a morte di un innocente. Un’altra anomalia evidente del mondo contemporaneo è la presenza di strutture detentive come Guantanamo. Questa è una struttura detentiva americana, di massima sicurezza, collocata sull’omonima base navale di Guantanamo, sull’isola di cuba.
Solo per pochi prigionieri è stato formalizzato un capo d’imputazione con conseguente rinvio a giudizio. I restanti sono reclusi a vita, prigionieri a tutti gli effetti a cui non vengono riconosciuti neanche i più basilari diritti umani. Sono sottoposti a trattamenti inumani e degradanti come ad esempio l’alimentazione forzata tramite sondino gastrico, che comporta notevoli sofferenze fisiche. Nessuno dei residenti a Guantanamo ha avuto giusto processo e la possibilità di essere difesi o ricorrere in appello.
Amnesty International, nel rapporto 2006 riporta che:
I Tribunali di revisione dello status di combattente (CSRT) istituiti dal governo nel 2004, hanno reso noto, nel marzo 2004, che il 93% dei 554 detenuti esaminati erano da considerarsi a tutti gli effetti “combattenti nemici”. I detenuti non avevano un rappresentante legale e molti di loro hanno rinunciato a partecipare alle udienze dei CSRT, che potevano avvalersi di prove segrete e di testimonianze estorte sotto tortura.
nell'agosto 2005, un imprecisato numero di reclusi ha ripreso lo sciopero della fame già iniziato a giugno per protestare contro la perdurante mancanza di accesso a una corte indipendente e contro le dure condizioni di detenzione, che sarebbero state caratterizzate anche da violenze e pestaggi. Più di 200 detenuti (cifra contestata dal Dipartimento della Difesa) avrebbero partecipato almeno a una fase della protesta. Diversi detenuti hanno denunciato di essere stati vittime di aggressioni fisiche e verbali e venivano alimentati a forza: alcuni hanno riportato lesioni causate dall'inserimento brutale di cannule e tubi nel naso. Il governo ha negato qualsiasi maltrattamento. A fine anno lo sciopero della fame era ancora in corso.
a novembre 2005 tre esperti in diritti umani delle Nazioni Unite hanno declinato l'offerta di visitare la base di Guantánamo presentata dal governo degli Stati Uniti, poiché quest’ultimo aveva posto restrizioni contrastanti con quanto normalmente stabilito dagli standard internazionali sulle ispezioni di questo tipo.
Nel dicembre 2008 inizia a essere affrontato il problema della chiusura della prigione, dopo che il neoeletto presidente Barack Obama ha manifestato tale intenzione. Il 21 gennaio 2009 il presidente statunitense firmò l'ordine di chiusura del carcere (ma non della base militare), che doveva essere smantellato entro l'anno. A più di cinque anni di distanza, ciò non è ancora avvenuto. Anche a seguito del voto contrario del Senato degli Stati Uniti, il quale con 80 voti sfavorevoli e 6 favorevoli ha respinto il piano di chiusura il quale prevedeva un costo di circa 80 milioni di dollari.
Altre inceppi della nostra società democratica sono un ‘eccessiva lunghezza dei processi, il sovraffollamento carcerario, la presenza di detenuti trattenuti senza aver avuto processo e difesa, contrariamente al principio cardine della democrazia in ambito penale, per cui un soggetto risulta essere innocente fino a prova contraria e l’esistenza di centri di riconoscimento per immigrati che vengono ad assumere di frequente l’aspetto di campi di prigionia a cielo aperto. Nonostante negli anni si siano registrati notevoli progressi, servono decisi passi in avanti e riforme sostanziali in materia penale e sotto il piano delle tutele internazionali riconosciute ai vari soggetti, affinchè si possa realizzare concretamente una società democratica vera, dove ogni uomo possa essere tutelato in quanto venga considerato e riconosciuto tale.
ELEONORA RECH
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