Hanno fatto scalpore le recenti visite di Salvini negli Stati Uniti e in Israele e quelle futuribili di Di Maio aventi le stesse destinazioni. Salvini a suo modo deve cercare di lisciare il pelo a questi due senior partnerdella nostra sovranità nell’impossibilità di contare su di un partito capace di farlo arrivare al governo da solo, o su di una destra unita o anche solamente degna di questo nome. Di Maio probabilmente dovrà ottenere la benedizione per il suo nuovo ruolo di figura forte dei Cinque Stelle, in barba, sotto molti versi, alla rivoluzione, al portato di novità o anche solo all’autonomia che questo soggetto politico pretendeva di offrire.
A ben vedere però il problema non sono Di Maio e Salvini che vanno negli Stati Uniti, il problema sono quei cittadini italiani che ancora credono al nostro paese come una nazione indipendente, “liberata” e pressoché scevra di condizionamenti da parte di potentati che l’hanno occupata da molto tempo e non hanno nessuna intenzione di andarsene, con un coro a reti unificate pronto a benedirne l’occupazione e il solito, bieco e strisciante pensiero unico a fare da grancassa all’impossibilità di un reale cambiamento, per altro negato da chi continua a procrastinare il problema o a ribadirne l’assenza.
Pur rimanendo nella stretta attualità, possiamo discutere ore e ore su come i nostri mass media ci infarciscano di notizie sul pericolo di una Brexit come preludio ad una nuova guerra europea, intergalattica o stellare. La verità è che questa Unione Europea, che a livello geopolitico rappresenta ad oggi la classe dominante sulle nazioni d’Europa, non fa fatica a reclutare, per usare Preve, tutta una serie di intellettuali e megafoni degli stessi volti a tutelare e a promuovere non solo l’attuale stato di cose, ma gli interessi economici e geopolitici dei paesi che da questa traggono i maggiori interessi, nonché la giustificazione del proprio status di padroni del mondo.
La propaganda martellante sulla lotta ai populismi, ai razzismi, alle spinte centrifughe altro non è che una spietata e antidemocratica repressione culturale volta alla negazione non solo del disagio popolare, ma anche solo della possibilità che un cambiamento reale sia possibile. Tutti gli europeisti neoliberali provenienti “da sinistra” altro non sono che i primi alfieri culturali di questo stato di cose, e in un certo senso la pietra tombale su ogni ipotesi di cambiamento reale che questo paese, e più in generale questo continente possano mai avere. Il centrodestra di sistema, d’altro canto, è l’architettura economico-amministrativa del cosiddetto carrozzone, in una logica spartitoria tutta interna al mondo capitalistico e antisovrano, che da questa situazione trae i maggiori benefici.
Il braccio culturale di Sinistra altro non ha fatto che adattarsi al nuovo stato di cose più o meno dai decenni della democratizzazione dei grandi partiti comunisti europei e dall’accentramento parlamentare dei movimenti socialisti; Reduce dalle stagioni dell’egemonia di stampo gramsciano, semplicemente ha via via traslato la propensione al dominio della critica e del consenso da contenitori socialisti o vagamente tali all’adesione al sistema capitalista vigente, con la moltiplicazione delle prospettive di potere e delle possibilità di accesso agli organi decisionali, nei quali oggi gli ex comunisti siedono a pieno diritto, costituendo la colonna portante del consenso verso lo status coloniale.
In tal senso, la sinistra europeista, liberal e politicamente corretta è la principale ereditiera di un sistema di potere basato sulla speculazione finanziaria a livello economico, sull’annichilimento del ruolo dello Stato e della comunità come regolatrice dell’architettura economica e principale artefice delle proprie politiche sociali, sulla completa de-sovranizzazione degli stati nazionali e sulla promozione a pie’ sospinto di una globalizzazione senza freni.
La stessa propaganda anti russa che i media allineati ci servono, assieme ai complici silenzi o alle infamie sulla Siria di Assad, sono il sigillo su di una informazione che, in barba alle retoriche sulla libertà di critica cala dall’alto verità di comodo, e non su giornalini o fogli di secondo piano, ma direttamente sui principali quotidiani nazionali degli stati assoggettati. Anche in questo caso possiamo prendercela coi politici, coi giornalisti stessi, con gli intellettuali, che in realtà fanno solo quello che è il loro compito naturale, ovvero quello di difendere gli interessi che permettono loro di campare, e di guadagnare la pagnotta.
Il problema reale è chi ancora oggi non riesce a svegliarsi da questo torpore esistenziale senza prospettive, chi crede ciecamente ad una argomentazione solo perché letta sui principali fogli di informazione, perché rilanciata da intellettuali di spicco o perché ascoltata all’università. Chi affida, in ultima istanza, il proprio senso critico o i residui dello stesso ad un sistema di informazione e acculturazione che è ben lungi dall’essere superpartes o scevro da condizionamenti, come del resto mai è stato in ogni epoca storica, essendo il potere stesso interessato alla sua conservazione e alla presentazione di sé come un qualcosa di giusto, condiviso, in generale piacevole ed equo.
Al massimo quest’informazione può essere istituzionale, se per istituzionale si intende una provenienza dall’alto, volta a tacitare spesso e volentieri qualsiasi focolaio di alterità ancora presente o qualsiasi spirito critico pronto a mettere in discussione il pensiero dominante, in una società che si vanta di perseguire una lotta senza quartiere alle dittature, ai fascismi e agli autoritarismi praticando tuttavia l’autoritarismo piùinsopportabile e vile, quello della presentazione della schiavitù come moderna forma di libertà.
Non c’è più da stupirsi se Salvini o Di Maio devono andare negli USA o in Israele a farsi benedire, cercando il consenso per una opposizione. Non c’è da stupirsi se il nostro paese non può contare su una propria autonomia decisionale nel sanzionare questo o quel paese o nel decidere come impiegare il proprio esercito. Non c’è da stupirsi se a Sinistra, al posto di udire parole decise contro la Nato, contro l’immigrazione irregolare, contro l’europeismo finanziario, sentiamo al contrario una lode del mondo libero, delmulticulturalismo dei diritti umani, o degli United States of Europe.
C’è da stupirsi quando vediamo un Front National oltre il venti percento, quando in Austria vincono forze sovraniste, quando in Germania c’è chi non si arrende al caos controllato e al disagio sociale nel quale sta precipitando il paese, quando in Ungheria vi è al governo un presidente capace di mettere al primo posto l’interesse dei suoi cittadini e non quello di un ente sovranazionale di impostazione coloniale.
Questi sono i sussulti da incentivare, piaccia o non piaccia, la nuova lotta si gioca tra chi passivamente decide di cedere il proprio spirito critico a Bruxelles e alle sue televisioni, e a chi vuole un netto e radicale cambiamento, rispetto al potere stesso e a tutte le centrali che si occupano di tutelarlo, e alla totale de-sovranizzazione delle nazioni europee, ultimo baluardo contro la globalizzazione imperativa per tutti.
(di Alessandro Catto)
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