“Scrivere a qualcuno è l’unico modo di aspettarlo senza farsi del male”, scriveva Baricco. E scrivere di noi è l’unico modo di farci conoscere per non farci del male, aggiungerei io. Mi perdoni Baricco per la sfrontatezza e forse la presunzione con cui modifico la frase a mio favore. Io che peraltro non sono nessuno, sia chiaro. Io che faccio parte di un Noi che non è quasi più niente, a livello sociale.
Il Noi in questione rappresenta gli studenti di lettere, o meglio: Lettere e Filosofia, Università la Sapienza. Essere uno studente di lettere nel 2015 comporta non solo lo scherno da parte dei so-tutto-io in base ai futuri sbocchi lavorativi (celebri le famose domande retoriche che ci vengono spesso rivolte da queste emblematiche figure) ma soprattutto il senso di impotenza cultural-sociale dell’aspirante letterato. Quante volte vi sarà capitato di strapparvi i capelli davanti ad orrori grammaticali, a parole o locuzioni strabordanti di apostrofi ed accenti inutili, a post su Facebook in cui l’autore meriterebbe l’appellativo di “macellaio grammaticale” nonché una denuncia, di fronte alla notizia del tg in cui si annuncia che i tagli del Governo colpiranno -ahinoi- la cultura... È allora che il letterato sceglie o di opporsi allo scempio o di sguazzarci dentro molto poco coraggiosamente.
Per citare Italo Calvino:
“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo resta facile a molti: accettare l’inferno e farne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione ed apprendimento continui; cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Mi piace immaginare che questo qualcosa possiamo essere noi. Se vogliamo ancora salvare il salvabile, parliamone, “non ci vergogniamo di dire ciò che non ci vergogniamo di pensare”, non ci vergogniamo di scrivere di noi, di pubblicizzare a scopo informativo - e senza prostituire il nostro cervello - tutto ciò in cui crediamo. Non ci vergogniamo di avere ancora dei valori (siano pure cinquecenteschi), di leggere poesie, di scriverne, di studiare per amore della materia e non per il 18 politico. Facciamo in modo di essere noi stessi, ché è ciò di cui la società ha più bisogno, anche se non si direbbe.
“Se il tempo non richiede la tua parte migliore, inventa altri tempi” (Stefano Benni)
ELISABETTA APPETECCHI
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