In Ucraina si rischia il genocidio? A sentire le parole di Alexander Dugin sembra proprio di sì. La nuove catastrofe umanitaria,come la dipinge il filosofo russo, continua a crescere soprattutto in Ucraina orientale secondo l’ideologo dell’eurasia che in un’intervista rilasciata al Giornale.it avrebbe auspicato l’intervento immediato di Putin il solo capace di fermare la minaccia dei ribelli. Seppur sia dell’entourage del Cremlino, non si può fare a meno di riconoscere una parziale veridicità alle sentenziose affermazioni di Dugin. Lo stesso Vassilly Golutev infatti,governatore della regione di Rostov, parla di catastrofe umanitaria realizzatasi nell’indifferenza della comunità internazionale per la quale i rifugiati del Donbass ucraino sarebbero profughi di serie b rispetto a quelli dell’Iraq e di Gaza.
A sostenere tale tesi ci sarebbero indirettamente, sia la scarsa mole di informazioni a riguardo che il disinteresse da parte di certa informazione pubblica che preferisce iniettare pessimismo con notizie di cronaca nera, piuttosto che rendere un adeguato servizio d’informazione. Seppur geopoliticamente meno stimolante è angoscioso constatare che, secondo i dati ufficiali del servizio di emergenza dello stato ucraino, a partire da dicembre siano state sfollate più di 514.000 persone a causa del conflitto. A questi vanno aggiunti i dati relativi alla scorsa estate che attestano un numero di sfollati pari a 14 mila. Aumentano anche le richieste di asilo sia nella Federazione Russa che nell’Unione Europea. Emblematico è il fatto che a partire dallo scorso ottobre 8936 ucraini abbiano richiesto protezione politica all’Unione il cui paese che fino ad ora ha ricevuto il maggior numero di richieste sembra essere la Polonia seguita dalla Germania, Francia e Svezia.
La paura della morte colpisce tutti soprattutto donne e bambini seppur molti preferiscono non oltrepassare il confine e rimanere nelle regioni vicine al conflitto comprese le città di Kharkiv, Donetsk e Luhansk. L’agenzia dei rifugiati (unhcr) insieme alla Croce rossa di San Pietroburgo, sembrerebbero essere le poche associazioni benefiche che operano direttamente sul campo seppur l’emergenza sia evidente. Gli aiuti internazionali scarseggiano e la mancata fama mediatica della questione rende sia impopolare parlarne che poco produttive le richieste d’aiuto di quei civili che, privi di colpa, si ritrovano catapultati dei gironi infernali della guerra e a cui non resta altro che sperare un giorno di poter ritornare nel loro paese.
Il numero dei rifugiati, che nel complesso supera un milione, è secondo solo all’orda inaudita dei tempi della guerra in Bosnia che tra il 1992 e il 1995 aveva provocato la fuga di 2,2 milioni di persone. Troppo presi dalla vita artificiale dei social network e soppressi dal deperimento dei valori morali, non guardiamo alle palpabili atrocità della situazione che paradossalmente sembra aver accresciuto il sentimento comunitario. E’ significativo infatti constatare che gli aiuti arrivino anche da civili russi che, soprattutto nella zona di Rostov, mettono a disposizione le loro abitazioni come temporanee residenze per i rifugiati ucraini. A sentire le dichiarazioni di M. B, (preferiamo inserire solo le iniziali) una ragazza ucraina attualmente residente in Italia, tuttavia l’esaltazione di quest’atteggiamento comunitario sembrerebbe essere più una strategia mediatica architettata dal Cremlino e finalizzata a giustificare un suo futuro diretto intervento già programmato, che un’andatura frutto di un incondizionato spirito di condivisione.
Per comprendere il perché di tali perplessità importante è chiarire chi è Alexander Dugin. Anton Shekhovtsov ,studioso dei movimenti nazionalisti europei, e lo storico Timothy Snyder lo considerano l’eminenza grigia del Cremlino e l’ispiratore delle politiche di Putin negli ultimi anni. Il perché va ricercato nelle scelte di vita politica fatte dal “filosofo” russo. Nel 1993,infatti, fonda con lo scrittore Eduard Limonov il partito nazional-bolscevico (NBP). Obiettivo dichiarato di tale movimento è salvare la parte nazionalista russa coniugandola con il pensiero della nuova destra. Poco dopo avrebbe abbandonato Limonov accusandolo d’aver depravato il nazional-bolscevismo e di aver venduto se stesso e il partito ai nemici della Russia. Ritorna in auge con l’arrivo al potere di Putin. L’avvicinamento, non casuale, fra i due avviene all’indomani della rivoluzione arancione in ucraina nel 2004. Un anno dopo avrebbe annunciato la creazione di un movimento giovanile anti-arancione finalizzato a sedare l’entusiasmo nazionalista ucraino in Russia.
Il fatto che Dugin abbia lodato la politica di Ivan il terribile considerandolo come il vero fautore della grande Russia, aggiunge credibilità alle considerazioni di Massimiliano di Pasquale membro dell’ AISU associazione italiana ucraina, secondo cui le idee del nuovo consigliere dello zar sono finalizzate a riproporre il ritorno della Russia come grande potenza egemone. Di Pasquale, analizzando le motivazioni per le quali Dugin è approvato da certa sinistra europea e quelle per le quali l’Europa non considera, erroneamente, l’occupazione della Crimea e la questione ucraina come tasselli di un piano più grande, conferma che il legame del Cremlino con Dugin sia quello di costruire un’Unione Eurasiatica che si estenda da Vladivostok a Lisbona e che nascerebbe in contrapposizione al mondo liberale e all’Occidente rappresentato dagli Stati Uniti e dall’Europa. Il progetto di unificazione di tutti i popoli di lingua russa sotto un unico impero attraverso l’annessione e l’annullamento delle repubbliche ex-sovietiche è una minaccia reale? Non bisogna tuttavia tralasciare le sfumature dichiaratamente estremiste che ha assunto la rivolta dei “ribelli” in difesa dell’autonomia Ucraina.
L’esodo della popolazione lo conferma. Perché si scappa? Si scappa per non essere subordinati a quelle politiche discriminatorie di Kiev che ha persino proibito l’utilizzo della lingua russa e ha imposto la versione obbligatoria del libro scolastico di storia nel quale si dipingono i russi come nemici del popolo ucraino. Si scappa per sfuggire da una realtà politica nella quale l’odio verso i russi funge da collante ideologico tra i ribelli di Kiev. La volontà di ricominciare da zero è quella che spinge gli ucraini a fuggire da un paese dove il positivo nazionalismo della rivoluzione arancione del 2004 è ora mutato diventando privo di autocontrollo. La guerra e le sue nefaste conseguenze colpiscono tutto il popolo ucraino. Tatiana Vladimirovna una donna di 55 anni alla rivista social news racconta: “ Ho lasciato tutto nella mia città a Krasnodan bombardata per mesi."
Volevano distruggere le strade per impedirci di lasciare il paese e cercare rifugio qui in Russia”. Ancora più sconcertanti sono le parole di Liubov Iranovna giunta a Novoshakhtinsk con tutta la sua famiglia. “Abbiamo resistito fino alla fine ma non c’era più niente da fare. I bombardamenti erano continui. Nel Donbass ucraino ormai non esiste più nulla”. La crudezza di tali esternazioni rende palpabile il disagio del popolo ucraino che a prescindere da quale possa essere l’esito finale di questa carneficina ne uscirà sempre vittima soggiogata dal grande potere della “politica”.
MARIANGELA ROSATO
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