Regno Unito: la Brexit non lascia, anzi raddoppia


Theresa May ha deciso: il processo che porterà la Gran Bretagna a separarsi dall’Unione europea verrà avviato a inizio 2017, al massimo “entro marzo”. Le recenti dichiarazioni del Primo ministro del Regno Unito in occasione della Conferenza annuale del partito Conservatore a Birmingham, definiscono finalmente una situazione non ancora del tutto chiara, e sono una risposta alle pressioni provenienti dal Consiglio europeo e dallo stesso partito dei Tory.
L’attivazione dell’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea permette allo Stato membro che abbia intenzione di recedere la possibilità di negoziare e concludere con l’Unione un accordovolto a definire le modalità di recesso, tenendo conto anche delle relazioni future. A tal proposito la May, nel difendere la scelta democratica effettuata dai cittadini britannici, ha spiegato come avverrà lo sganciamento dalla normativa europea: le leggi europee approvate sin dall’European Community Act (norma con la quale la Gran Bretagna ha aderito all’allora Comunità economica europea nel 1972), tramite una legge governativa, saranno abrogate, emendate o convertite in leggi nazionali, al fine di evitare eventuali vuoti legislativi post Brexit.
In questo modo, inoltre, verrà ristabilito il primato dell’interpretazione dei giudici inglesi su quelli di Lussemburgo.
Ma la questione più spinosa resta quella sul tema dell’immigrazione. Proprio su questa materia il Primo ministro del Regno Unito ha tuonato: “Voglio essere chiara. Non usciamo dalla Ue per poi rinunciare di nuovo al controllo sull’immigrazione. Noi torneremo ad essere un paese pienamente sovrano e indipendente”; e ancora “oltre al messaggio di voler lasciare l’Unione, penso che ci sia anche un altro chiaro messaggio da parte dei cittadini britannici, ovvero la richiesta di un maggiore controllo da parte nostra sul movimento di persone che dall’Europa raggiungono il Regno Unito”.
L’argomento immigrazione è stato il cavallo di battaglia di Nigel Farage, l’ex leader dell’Ukip, e principale promotore della Brexit: secondo il politico britannico, infatti, l’enorme afflusso di stranieri ha privato i cittadini di numerosi posti di lavoro e reso tutti più poveri; a guardare i dati appare difficile non concordare con la tesi di Farage: negli ultimi 5 anni, infatti, il tasso d’immigrazione in UK da parte di cittadini dell’Unione è cresciuto del 51%.
Alle parole provenienti da oltremanica, hanno fatto eco le dichiarazioni del cancelliere tedesco, Angela Merkel: i piani britannici di stretta sull’immigrazione non sono piaciuti alla Cancelliera tedesca che ha voluto rispondere a tono, invitando il governo di Sua Maestà a rivedere le proprie posizioni, perché “senza la libera circolazione delle persone non potrà esserci per l’UK l’accesso al mercato unico europeo”.
Non pare preannunciarsi, quindi, un negoziato facile; ma il governo di Theresa May non ha alcuna intenzione di farsi trovare impreparato in caso di difficoltà.
Il segretario agli affari Esteri del Regno Unito, Boris Johnson, sta cercando di ricucire i rapporti con Ankara al fine di siglare un “mega accordo commerciale” con la Turchia dopo la Brexit e, dopo aver annunciato la linea dura sui negoziati, anche il Primo ministro britannico ha incontrato negli ultimi giorni il governo danese e quello olandese, con la volontà di trovare alleati a Copenaghen e a l’Aia, oltre al fatto che sono previste nuove visite ad altre capitali europee per i prossimi mesi con lo scopo di sondare le posizioni negoziali degli altri Stati membri.
Londra è consapevole che non sarà facile, ma ha intenzione di tirare dritta per la propria strada e di rendere la Brexit un successo.

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